I CARATTERI EREDITARI E LA LORO TRASMISSIONE

Alla base dell'idea che ognuno di noi ha della trasmissione ereditaria dei caratteri vi sono due concetti abbastanza ovvi: il primo si può sintetizzare con l'osservazione che simile produce simile, cioè che i gatti nascono da altri gatti, le rose da altre rose, gli esseri umani da altri esseri umani; il secondo si può sintetizzare invece nell'espressione che i figli rassomigliano ai genitori.
  Questi due concetti sono stati presenti nell'uomo fin dall'alba dei tempi ma nonostante queste importanti intuizioni, la spiegazione scientifica dei meccanismi che governano la trasmissione dei caratteri ereditari è una conquista relativamente recente così come il ramo delle scienze biologiche che se ne occupa: la genetica.
  La nascita di tale scienza può collocarsi intorno al 1860 ed è indissolubilmente legata all'opera del monaco boemo Gregorio Mendel (1822-1884).
Abate del monastero agostiniano di Brno e insegnante, presso il Collegio reale della medesima città, di fisica e scienze naturali, Mendel si dedicava a esperimenti di ibridazione con le piante coltivate nel giardino del monastero. Dalle osservazioni che gli provenivano da questa attività, nacque in lui la curiosità di capire come i caratteri ereditari si trasmettessero da una generazione all'altra.
  Per affrontare questo problema egli adottò dei criteri incredibilmente geniali e apparentemente semplici, che per quel tempo erano non solo fortemente innovativi ma andavano contro le concezioni correnti sulla trasmissione ereditaria dei caratteri. Infatti vi era allora la convinzione che i caratteri di un individuo fossero il risultato di una semplice mescolanza di quelli dei due genitori.
  Nell'arco di venti anni condusse numerosi esperimenti sulla trasmissione dei caratteri su vari tipi di piante, in particolare sul pisello, nel quale era possibile realizzare sia la fecondazione incrociata sia l'autofecondazione.
  Per capire meglio i risultati ottenuti da Mendel analizziamo assieme i suoi esperimenti. Egli provò ad incrociare, cioè a far riprodurre sessualmente in condizioni controllate, due razze di piselli puri, una che dava solo semi gialli, una solo verdi; ottenne così una prima generazione, detta F1, di piante che avevano tutte i semi gialli. Il colore verde sembrava definitivamente scomparso. Facendo però incrociare questi individui di prima generazione tra di loro, ricavò una seconda generazione, detta F2, composta per 3/4 di piselli con semi gialli e per 1/4 di piselli con semi verdi. Questo esperimento mise in evidenza che non tutti i caratteri presenti nei genitori sono evidenti nelle successive generazioni di discendenti.
Per spiegare questo fatto Mendel ipotizzò che ogni carattere sia controllato da due fattori che possono essere dotati di "forza diversa" uno dei quali, detto dominante, è in grado di impedire all'altro, detto recessivo, di manifestarsi. Mendel formulò così la sua prima legge o legge della dominanza. Inoltre osservò che i due fattori si trasmettono indipendentemente l'uno dall'altro (seconda legge o legge della segregazione indipendente) determinando tre combinazioni diverse dei due fattori: dominante-dominante, recessivo-recessivo, dominante-recessivo. Le prime due combinazioni daranno origine ad individui omozigoti, cioè puri per il colore giallo o verde. La terza combinazione invece darà individui eterozigoti (o ibridi), cioè impuri, ma gialli secondo il principio della dominanza.
  Poiché gli eterozigoti manifestano il carattere dominante come gli omozigoti, è necessario distinguere il loro aspetto esterno, cioè il loro fenotipo, dalla costituzione genetica, cioè il loro genotipo: fenotipi simili possono infatti derivare da genotipi diversi.
  Se incrociamo organismi che differiscono per due coppie di caratteri si vede che questi ultimi si presentano nei discendenti secondo tutte le loro combinazioni possibili. Così, incrociando tra loro piselli a seme giallo e liscio con con piselli a seme verde e grinzoso, Mendel ottenne in F1 tutte piante con semi che presentavano i due caratteri dominanti (giallo e liscio), alla F2 quattro categorie di individui che presentavano le quattro combinazioni possibili, cioè le due introdotte nell'incrocio e le due nuove: giallo liscio, giallo-grinzoso, verde-liscio, verde-grinzoso.
  Questo fatto suggerì a Mendel la legge dell'indipendenza dei caratteri, detta anche terza legge di Mendel, secondo la quale ogni coppia di fattori si comporta indipendentemente dalle altre, per cui la trasmissione di ciascun carattere segue un suo percorso autonomo.
Grazie ai suoi esperimenti Mendel era riuscito a svelare i meccanismi che regolavano la trasmissione ereditaria dei caratteri, confermando che solo quelli acquisiti già alla nascita vengono trasmessi alla discendenza.
  Oggi si sa che i fattori di Mendel sono i geni, piccoli segmenti di DNA ognuno dei quali esprime un carattere ereditario secondo un linguaggio chimico detto codice genetico. Le coppie di geni, detti alleli che, proprio come i fattori di Mendel, codificano per uno stesso carattere, sono localizzati sui due cromosomi di una stessa coppia. In questo modo si spiega la segregazione dei caratteri: gli alleli, trovandosi su cromosomi diversi, vengono separati al momento della meiosi e trasmessi indipendentemente l'uno dall'altro.
  Gli esperimenti con cui Mendel mostrava la natura ben distinta dei geni furono pubblicati nel 1865, ma per un lungo periodo vennero pressoché ignorati dalla comunità scientifica.
  Tuttavia, agli inizi del Novecento, il lavoro di Mendel venne riscoperto e rivalutato. Negli ultimi anni del secolo precedente erano stati fatti importantissimi progressi da parte dei citologi (cioè gli studiosi delle cellule) che avevano scoperto i cromosomi e il loro modo di comportarsi nel corso della mitosi, della meiosi e della fecondazione. Ciò aveva riacceso un grande interesse per lo studio della trasmissione dei caratteri ereditari.
  Nel 1902 venne così proposta la teoria cromosomica dell'ereditarietà che, prendendo a base il comportamento dei cromosomi - cioè il fatto che essi vanno incontro a segregazione e assortimento indipendente - correlava cromosomi e geni , cioè i fattori mendeliani responsabili della trasmissione dei caratteri ereditari, secondo regole precise.
  Dopo una intensa sperimentazione, nel 1910 Thomas Hunt Morgan dimostrò la localizzazione di un gene su uno specifico cromosoma. A questa prima dimostrazione fecero seguito numerose ricerche che confermavano la correttezza della teoria cromosomica che stabiliva che i geni si trovano nei cromosomi.
  La scoperta di nuovi geni portò alla conclusione che, essendo il loro numero assai superiore a quello dei cromosomi, ciascun cromosoma portava più geni. Fu inoltre dimostrato che i geni non sono disposti a caso nei cromosomi, ma sono ordinatamente distribuiti in modo lineare. Dagli esperimenti di Mendel risultava che i caratteri segregano indipendentemente. Ciò appare confermato nel caso in cui i geni si trovano su cromosomi diversi. Quando invece si trovano sullo stesso cromosoma, può verificarsi il fenomeno dell'associazione, cioè la mancanza di una completa segregazione.
  L'uomo, come la maggior parte degli animali e alcune specie di piante, presenta individui di sesso diverso, distinti in maschi e femmine. Questa differenza è determinata geneticamente da specifici cromosomi chiamati cromosomi sessuali. Nella maggior parte delle specie sono due, diversi tra di loro. Nella specie umana i due cromosomi vengono indicati con le sigle X e Y. La femmina ha un patrimonio XX mentre il maschio ha un patrimonio XY. I maschi sono il sesso eterogametico, in quanto producono spermatozoi contenenti per metà il cromosoma X e per metà il cromosoma Y. Le femmine, al contrario, sono il sesso omogametico in quanto tutte le uova hanno solo il cromosoma X. Al momento della fecondazione e della formazione dello zigote sarà il sesso eterogametico che determinerà il sesso del nuovo individuo. Pertanto nella specie umana è il padre che determina il sesso del nascituro.

  Come si è già detto ogni specie è caratterizzata da un preciso patrimonio cromosomico. Esso può essere rappresentato in modo sintetico dal suo cariotipo, che rappresenta numero e morfologia dei cromosomi.
  Esistono però vari fattori, tra cui possibili alterazioni del normale andamento della meiosi o della mitosi oppure una varietà di agenti fisici e chimici, che possono determinare delle anomalie nelle caratteristiche dei cromosomi.
  Queste alterazioni sono dette mutazioni cromosomiche. Oltre alle mutazioni cromosomiche, vi possono essere anche delle mutazioni geniche o delle mutazioni genomiche.
Le mutazioni cromosomiche riguardano le sequenze di geni all'interno di singoli cromosomi, le mutazioni geniche comportano alterazioni puntiformi al livello del DNA, e le mutazioni genomiche riguardano un aumento o una diminuzione del numero dei cromosomi tipici di una determinata specie.
Tutti i tipi di mutazione hanno conseguenze notevoli che si manifestano con modificazioni significative del fenotipo.


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